La Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha pubblicato il primo Report sulla costrizione o induzione al matrimonio in Italia dopo l’entrata in vigore della legge n. 69/2019, il Codice rosso, che ha introdotto uno specifico reato con lo scopo di contrastare, in particolare, il fenomeno ormai di dimensioni globali dei matrimoni precoci e delle “spose bambine”. Il nuovo reato prevede pene aggravate nel caso di minore età delle vittime, nell’ambito di un sistema di norme penali a tutela delle persone colpite da violenza di genere e domestica. Secondo i dati del servizio di Analisi Criminale – che riguardano l’arco temporale compreso tra l’entrata in vigore del Codice rosso (il 9 agosto 2019) e il 31 maggio 2021 – si sono verificati 24 reati, l’85% dei quali commessi in danno di persone di genere femminile. In un terzo di tali casi le vittime sono minorenni (9% infraquattordicenni e 27% tra i 14 e i 17 anni). Il 59% delle vittime sono straniere, in maggioranza pakistane, seguite dalle albanesi. Nel 73% dei casi gli autori del reato sono stati uomini anche in questo caso di nazionalità prevalentemente pakistana, seguita da quelle albanese, bengalese, bosniaca. Nel 40% dei casi i responsabili erano di età compresa tra 35 e 44 anni. Il Report aiuta ad analizzare il fenomeno – che ha radici storiche, culturali e talvolta religiose – e, individuando radici e contesti di riferimento, ha l’obiettivo di migliorare le strategie di contrasto. I dati, inevitabilmente, fotografano una situazione sottodimensionata rispetto a quella reale: l’emersione di questo reato, infatti, non è facile perché spesso si consuma tra le mura domestiche e le vittime sono quasi sempre ragazze giovani, costrette ad abbandonare la scuola, talvolta obbligate a rimanere chiuse in casa nell’impossibilità di denunciare, anche per paura di ritorsioni.
4 Le comunità straniere in Italia in cui si suppone sia diffuso il matrimonio combinato: quella pakistana e quella albanese, con il 75% dei casi, seguite da quelle bengalese e bosniaca (rom di etnia bosniaca) 59% Le vittime straniere, in maggioranza pakistane 85% Le vittime di genere femminile 36% Le vittime sotto i 18 anni, di cui il 9% sotto i 14 76% Gli autori di reato stranieri, in prevalenza pakistani, seguiti da albanesi, bengalesi e bosniaci 73% Gli autori di reato uomini, di età compresa tra i 35 e i 44 anni per il 40% dei casi, tra i 45 e i 54 nel 27% dei casi e tra i 25 e i 34 nel 15% Fonte: Primo Report sulla costrizione o induzione al matrimonio in Italia – 28 giugno 2021 – Direzione centrale della Polizia Criminale del dipartimento della Pubblica Sicurezza N.B. le percentuali sono calcolate sui 24 casi di matrimonio forzato rilevati tra il 9 agosto 2019 (entrata in vigore del Codice rosso) e il 31 maggio 2021. Il Report aiuta ad analizzare il fenomeno – che ha radici storiche, culturali e talvolta religiose – e, individuando radici e contesti di riferimento, ha l’obiettivo di migliorare le strategie di contrasto. I dati, inevitabilmente, fotografano una situazione sottodimensionata rispetto a quella reale: l’emersione di questo reato, infatti, non è facile perché spesso si consuma tra le mura domestiche e le vittime sono quasi sempre ragazze giovani, costrette ad abbandonare la scuola, talvolta obbligate a rimanere chiuse in casa nell’impossibilità di denunciare, anche per paura di ritorsioni. Considera che per mettere ‘4’ come numero di comunità ho incrociato i dati per autore e vittima, altrimenti Bangladesh e Bosnia avrebbero un solo caso così come Romania, Nigeria, Croazia, India e Polonia. Per quanto riguarda la nazionalità di vittime e autori di reato possiamo immaginare che le vittime italiane, il 41%, siano naturalizzate, ma non esiste ovviamente un’esplicitazione in tal senso. Altre fonti: il matrimonio forzato dei minori e il codice rosso. Maristella Cerato, sostituto procuratore generale Corte d’Appello di Venezia: “Molteplici possono essere le motivazioni dei genitori dei minori per costringerli ad un precocissimo matrimonio forzato. I familiari dei minori possono esservi indotti da schemi culturali di protezione, con la finalità di assicurare loro mantenimento e integrazione sociale. Oppure, e in questi casi vi è un’ulteriore violenza, possono costringervi i minori per assicurarsi un profitto economico o per conseguire per via indiretta altri benefici (quali l’integrazione in un paese straniero o simili). Come osservato dalla giurista Anu Sivaganesan, responsabile in Svizzera del Servizio nazionale contro i matrimoni forzati (2), l’appartenenza religiosa può svolgere un ruolo, ma non è la causa principale dei matrimoni forzati. Le ragioni sono diverse. Il matrimonio può essere visto come uno strumento per mantenere un legame forte con la cultura del proprio paese di origine o un modo per “proteggere” i giovani da stili di vita più aperti, soprattutto per quanto riguarda il rapporto alla sessualità. E può essere anche considerato un atto di solidarietà nei confronti della comunità di origine.