“Sarebbe giusto dire che i matrimoni in Pakistan sono “forzati”.
Un “matrimonio forzato”, dopotutto, è quello in cui una o entrambe le parti non hanno acconsentito. La parola chiave qui è “consenso”, e se tecnicamente parlando il consenso può essere dato dicendo “sì” o “no”, filosoficamente parlando è una questione molto più complessa.
Non considera, per esempio, uno dei più forti piloti di matrimonio nella nostra società, ovvero la pressione familiare.
Nella maggior parte dei casi, quando a una futura sposa viene chiesto se vuole dire “sì” ad una particolare proposta, il vero messaggio per lei è semplicemente che abbiamo scelto quest’uomo per te e dovresti scegliere anche quest’uomo. Tecnicamente parlando, la futura sposa può dire “no”, ma il costo di questo “no”, quando tutti in famiglia hanno già deciso che la proposta è la migliore, è formidabile.
Se la ragazza ha il coraggio di tenere testa alla sua famiglia, sarà sottoposta a pressione in altri modi: ritiro di affetto, schernimento, prese in giro e, peggio ancora, accusata di comportamento scorretto e mancanza di rispetto. Non sorprende che, di fronte al rituale solitamente perfetto del “chiedere alla ragazza”, sappiano cosa dovrebbero dire, cosa tutti vogliono che dicano, e quindi dicono “sì”.
Il consenso, alla fine, significa la libertà di dire “no”, e la libertà non è disponibile per le donne in Pakistan”.