Le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) riguardano tutti quei procedimenti che coinvolgono la rimozione, totale o parziale, degli organi genitali femminili esterni. Questa pratica non viene applicata per scopi di natura medica, bensì per motivi culturali. Sono numerose le complicazioni, a breve e lungo termine, sulla salute di coloro che sono soggette a questa usanza. Tra le peggiori, vi è la morte. Sebbene le MGF siano riconosciute a livello internazionale come una violazione estrema dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, si stima che circa 68 milioni di ragazze in tutto il mondo rischiano di subire questa pratica prima del 2030.
Nel 2012, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la risoluzione 67/146, proclamando il 6 febbraio come la Giornata Internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF).
Le mutilazioni genitali sono considerate di diritto un crimine contro l’umanità femminile, e nonostante la giurisdizione internazionale legiferi in materia, il reato sembra non cessare mai. La stima attuale è che nel mondo sono 200 milioni coloro che hanno subito la mutilazione, e circa 2 milioni di loro stando alle stime del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) risiedono in Europa.
Nel 1993 la Mutilazione Genitale Femminile è stata classificata come una forma di violenza contro le donne dalla Legislazione Internazionale dei Diritti Umani.
Una barbara tradizione, che secondo riti e credenze segna un passaggio di vita, simbolo di castità e rispettabilità femminile.
Secondo una indagine dell’Università Milano Bicocca, attualmente sono circa 90 mila le donne in Italia sottoposte a tale barbaria.
Dal 2006 in Italia vige la Legge 7 del 2006, detta “Legge Consolo”, dal nome del Senatore che ne fu promotore. Una legge che rende punibili le Mgf anche se commesse al di fuori dal nostro Paese.
Questo è ciò che accade di frequente, le giovani ragazze vengono fatte rientrare nel loro Paese per aver praticato tale crudeltà.
La mutilazione trova escamotage per essere infierita, può avvenire attraverso un controllo medico riguardante la verginità (molto spesso condizione fondamentale per essere data in sposa forzata).
In virtù di questo, due anni fa l’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, UN-Women e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno chiesto il divieto dei “test di verginità”.
Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il 17 luglio scorso, a Ginevra, ha approvato all’unanimità una nuova risoluzione contro le mutilazioni genitali femminili.
Il testo esprime la “forte condanna della comunità internazionale” per questa pratica che costituisce “una forma di tortura o maltrattamento” ed una “minaccia al pieno esercizio di diritti e libertà fondamentali di donne e ragazze”. La loro cancellazione rientra anche tra gli obiettivi dell’Agenda 2030, dove al punto 5.3 si legge: “eliminare ogni pratica abusiva come il matrimonio combinato, il fenomeno delle spose bambine e le mutilazioni genitali femminili”.
Secondo l’OMS circa 200 milioni di donne e bambine convivono con queste cicatrici; di esse, 44 milioni hanno meno di 14 anni e circa il 90% vive in un paese africano. Al totale rischiano di aggiungersi ogni anno 4,6 milioni di bambine e ragazze.
Un aumento considerevole è avvenuto con la Pandemia causa COVID, avendo un minor controllo ed un approccio facilitato in ambito sanitario si è reso più facile perpetuare il reato.
La pratica è fortemente concentrata in una fascia di Paesi dalla Costa Atlantica al Corno d’Africa, in aree del Medio Oriente come l’Iraq e l’Oman e in alcuni Paesi dell’Asia come Indonesia e Maldive. E’ arrivata anche in Occidente attraverso i flussi migratori, venendo considerata un rituale irrinunciabile per alcune mentalità tipica delle società di matrice patriarcale. L’infibulazione viene usata in chiave di fedeltà coniugale, per annientare il piacere sessuale femminile. Molti uomini la pretendono come condizione per contrarre il matrimonio.
L’azione permanente che le Associazioni e gli Organi competenti devono mettere in atto è una opera di confronto e sensibilizzazione per ottenere un effetto a medio termine di riduzione modificandone la percezione.
Secondo l’OMS, nella definizione di mutilazioni genitali femminili rientrano “tutte le forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche“.
La loro classificazione distingue quattro principali tipologie di mutilazione, in base alla loro gravità:
- Clitoridectomia (Parziale o totale rimozione del clitoride);
- Escissione (Parziale o totale asportazione del clitoride e delle piccole labbra, con o senza escissione delle grandi labbra);
- Infibulazione (Restringimento dell’orifizio vaginale con la creazione di una chiusura creata tagliando e avvicinando le piccole labbra e/o le grandi labbra, con o senza l’escissione del clitoride);
- Tutte le altre procedure dannose per gli organi genitali femminili eseguite per ragioni non terapeutiche (punture, perforazioni, incisioni, cauterizzazione, allungamento per trazione, introduzione di sostanze nocive e corrosive o di erbe a scopo di restringimento).
Ricordiamo che le donne sottoposte a mutilazioni soffrono di infezioni ai tratti urinari, cistiti, infezioni renali e uterine, problematiche riproduttive e dolore durante l’atto sessuale. Senza contare le conseguenze psicologiche.