Mete Onlus si impegna a sostenere, attraverso ogni attività possibile, “Io Sono Sheradzade”.
Grazie a Fabio Sanfilippo (giornalista) per l’alto significato dell’iniziativa messa in atto.
Io sono Sheradzade – Appello
Sheradzade è una bambina curdo-siriana di otto anni. L’ho incontrata a Idomeni, in quella terra di nessuno al confine greco-macedone dove da mesi sono ammassati migliaia di profughi costretti a vivere (?) in condizioni disumane. Con la sua famiglia (padre, madre e due fratellini ancora più piccoli) occupano due tende piantate nella melma e aspettano. Aspettano che l’Europa decida del loro futuro che loro, dopo essere stati costretti a lasciare la loro casa a causa dei bombardamenti e della guerra, sognano in Germania.
Sheradzade disegna. È così che trascorre il tempo in quell’inferno in cui noi europei la costringiamo, dove costringiamo altri cinquemila bambini come lei. Disegna la guerra e i bombardamenti che ha vissuto. Disegna la vita quotidiana nel campo di Idomeni. Disegna la speranza tradita di una frontiera che vorrebbe attraversare ma che vede chiusa, sbarrata da un filo spinato. Disegna il viaggio che vorrebbe fare con la sua famiglia, mano nella mano, attraverso campi fioriti verso un futuro di pace e serenità.
Quando Sheradzade mi ha teso la mano nel gesto di offrirmi i suoi disegni la mia reazione è stata di imbarazzo e incredulità. “No, no”, le ho fatto capire. Non volevo che si privasse di una parte importante del suo vissuto, della sua seppur breve ma intensa esistenza. Ma lei con i suoi occhi scuri e fieri, e con lei suo padre, hanno insistito perché è importante per loro che arrivi il messaggio. Allora con il mio amico Theodoros Chondrogiannos, giovane giornalista greco che a Idomeni mi ha fatto da interprete e producer per il mio lavoro, ci siamo chiesti cosa potevamo fare per questa famiglia e per questa bambina.
Il giorno dopo, era una domenica, lungo il viale che costeggia i binari del campo abbiamo incrociato ancora Sheradzade a passeggio con suo padre. Con qualche difficoltà, parlano solo la loro lingua, siamo riusciti comunque a capirci e a farci dare il numero di telefono, a dirgli che eravamo pronti ad aiutarli in qualche modo. Ci hanno portato alle loro tende, lì dove vivono. Abbiamo conosciuto il resto della famiglia, la madre e i due fratellini. È stata una piccola festa! La mamma di Sheradzade, prima di salutarci, ci ha fatto capire che Shera – è così che la chiama – aveva finito i colori e gli album da disegno. Ecco, quella sarebbe stata la nostra missione quel giorno: andare a comprare album da disegno e colori. Non è stato facile, era domenica, ma ce l’abbiamo fatta! Per fortuna a qualche chilometro di distanza, a Polikastro, abbiamo trovato una cartoleria aperta e lì abbiamo fatto incetta di tutto: album, colori, fogli da collage, forbici, colla. E anche qualche tavoletta di cioccolato… Siamo tornati al campo e quando la mamma di Sheradzade ci ha visto è stata di nuovo festa.
Dopo quanto accaduto nei giorni scorsi a Idomeni ho provato a chiamare il papà di Sheradzade ma non ho avuto risposta. Dalle informazioni che abbiamo la famiglia dovrebbe essere ancora lì, in quel campo. Penso che donandomi quei disegni Sheradzade volesse farli conoscere al mondo, volesse che il mondo conoscesse la vergogna di Idomeni attraverso gli occhi di una bambina e il linguaggio universale dell’arte.
Per questo lanciamo un appello a tutti gli enti museali o altre istituzioni che fossero interessati a esporre i disegni di Sheradzade a contattarci attraverso la pagina Facebook già attiva Io sono Sheradzade https://www.facebook.com/sheradzade/; lanciamo un appello alle organizzazioni umanitarie presenti a Idomeni – Unhcr, Save the Children, Msf, Medici del mondo – ad attivarsi per verificare se la famiglia si trova ancora lì; lanciamo un appello ai Governi a favorire la partecipazione di Sherdzade e della sua famiglia a eventuali mostre o incontri che dovessero organizzarsi attraverso il rilascio di visti umanitari.