Nel 2013 l’Assemblea Generale, con la Risoluzione A/RES/68/192, ha proclamato il 30 luglio la Giornata mondiale contro la tratta di persone. Lo scopo è quello di sensibilizzare la comunità internazionale sulla situazione delle vittime e promuovere la difesa dei loro diritti.
La tratta di esseri umani rappresenta un crimine transnazionale che viene definito dall’art.3 del “Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini”.
La definizione di tratta comprende il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi.
A livello europeo, la tratta viene definita dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani. L’Unione Europea ha emanato due direttive sulla questione: la Direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le Autorità competenti e la Direttiva 2011/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI.
In Italia il reato di tratta viene definito dall’art. 601 del Codice penale così come recentemente modificato dal D.Lgs. 24/20146, che ha dato attuazione alla direttiva 2011/36/UE.
L’art. 18 del Testo Unico sull’Immigrazione e l’art. 27 del Regolamento di attuazione disciplinano le modalità di rilascio di un permesso di soggiorno “per protezione sociale” nei confronti dello straniero, la cui incolumità sia in pericolo per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione criminale dedita a reati quali lo sfruttamento della prostituzione, lo sfruttamento minorile, l’accattonaggio, la riduzione in schiavitù, la tratta di persone o altri per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ex art. 380 c.p.p., oppure delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio.
Negli ultimi quindici anni l’Italia è stata interessata in misura sempre maggiore dal fenomeno degli arrivi via mare di migranti e richiedenti protezione internazionale, in partenza dalle coste della Libia, della Tunisia e dell’Egitto. Questi flussi sono aumentati in modo significativo nel 2011 in concomitanza dei mutamenti politici denominati “Primavera Araba” nei Paesi del Nord Africa (soprattutto in Tunisia e Libia) e con l’intensificarsi del conflitto in Siria. In particolare nel 2014 si è registrato l’arrivo di oltre 170.000 persone via mare, di cui più di 42.000 cittadini siriani in fuga dalla guerra. Il numero di rifugiati siriani in arrivo in Italia si è ridotto sensibilmente nel 2015.
Nello stesso anno si è aperta la rotta balcanica che dalla Turchia passa attraverso la Grecia e i paesi balcanici e la maggior parte dei rifugiati siriani si è spostata lungo questa rotta.
In Italia nel 2015 e nel 2016 si è registrato un significativo numero di arrivi di migranti e richiedenti protezione internazionale provenienti principalmente dalla Libia ed originari dei paesi dell’Africa occidentale e del Corno d’Africa.
Dall’inizio del 2017 ad oggi in Italia è stato inoltre rilevato un aumento dei migranti provenienti dai paesi dell’Africa Occidentale ed una sensibile diminuzione di coloro che arrivano dai paesi del Corno d’Africa.
L’identificazione della vittima di tratta può avvenire, infatti, anche in momenti successivi allo sbarco o dopo un certo periodo di accoglienza e permanenza sul territorio, poiché la stessa può non aver recepito le informazioni sui programmi di protezione ricevute al momento dello sbarco o nei momenti immediatamente successivi, o non aver preso subito coscienza della propria condizione.
Indicatore rilevante è lo stato psico‐fisico: se in gruppo, sono le più sottomesse e silenziose, a volte evidentemente controllate da altre/i migranti, che ad esempio rispondono al posto loro, oppure si oppongono ad un colloquio privato.
Prima di partire fanno fare alle ragazze un rito; il voodoo. Il rito si compie alla presenza di uno sciamano locale, il “native doctor”, della ragazza, della madame (la sfruttatrice). La ragazza consegna sangue, unghie, capelli, peli pubici ed una sua fotografia. Su queste parti del corpo viene sacrificato un animale, spesso una gallina, di cui la ragazza è costretta a mangiarne il cuore. Tutto viene poi conservato in una busta di stoffa e consegnato alla persona che sarà proprietaria della ragazza. La ragazza che compie il rito non sa che dovrà prostituirsi, con quel rito si impegna solo a pagare il suo debito.
Durante il rito si giura fedeltà alla donna che è l’amica della prima donna che ha avvicinato la famiglia e si giura di non dichiarare mai il nome della madame e delle persone che ti hanno portata in Italia. La minaccia che si fa, in caso di mancato adempimento delle promesse, è la morte. Morte della ragazza e della sua famiglia. L’altra minaccia è il “maleficio” sempre nei confronti della ragazza e della sua famiglia.
La terminologia:
Madame: il termine “madame” è un appellativo di rispetto che significa “signora”, ma nel contesto della tratta indica la trafficante che gestisce le vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, a cui devono ripagare il debito contratto prima di lasciare il paese di origine. Spesso è essa stessa un’ex vittima di tratta che, una volta pagato il debito, decide di guadagnare dallo stesso traffico di cui è stata vittima in passato.
Native doctor: sciamano presso cui le vittime di tratta vengono sottoposte a rituale voodoo (“juju” nigeriano).
Boga: accompagnatore. Il boga è colui che accompagna una o più ragazze dalla Nigeria alla Libia e che ha i contatti telefonici con la madame/oga e i trafficanti della rete criminale. Boga è anche colui che preleva la vittima di tratta appena sbarcata e ospite in un centro di accoglienza in Italia per accompagnarla dalla madame. Sono presenti diversi boga dalla Nigeria all’Europa con lo scopo di custodire “la merce” sino a quando non sarà giunta a destinazione per essere sfruttata.
Connection man: organizzatore del viaggio/smuggler. Generalmente indicato come colui che organizza i viaggi dalla Nigeria all’Italia attraverso la Libia. Più “connection man” possono contribuire al trasporto di una stessa vittima, ad esempio uno in Nigeria e uno diverso in Libia.
Connection house: casa chiusa/bordello. Generalmente le vittime di tratta indicano con il termine “connection house” le case chiuse in Libia e, più recentemente, anche quelle in Italia o in Europa, dove sono forzate alla prostituzione. In Italia e in Europa, spesso sono le minori ad essere rinchiuse nelle connection houses, perché in strada darebbero troppo nell’occhio. Vengono così definiti i anche bordelli presenti all’interno di “ghetti”.
Ghetto: è il termine utilizzato dalle vittime di tratta e dai migranti in generale per indicare il luogo, spesso un casolare abbandonato, in cui attendono prima di imbarcarsi su un gommone. Usato anche per indicare gli agglomerati informali in cui vivono molti migranti in Italia. In italiano si direbbe baracca o baraccopoli.
Lapalapa: gommone.