shari‛a (ar. «strada») Nel lessico islamico e coranico è la «strada rivelata», e quindi la legge sacra, non elaborata dagli uomini ma imposta da Dio. La s. è interpretata e sviluppata dal diritto islamico a partire dalle sue fonti canoniche, che sono il Corano e la sunna, ricorrendo poi a strumenti supplementari (insieme costituiscono i cd. usul al-fiqh, «le radici del diritto») per tutto quello che nelle fonti non è detto esplicitamente e univocamente, nell’ambito delle possibilità umane e tenendo conto dell’approssimazione inevitabile. La s. si estende a ogni atto umano, da quelli individuali e interiori, legati alla devozione e al culto, a quelli esteriori, che comprendono tutte le attività connesse all’interazione sociale, dalla sfera personale a quella comunitaria a quella politica. Ogni atto è classificabile secondo una scala di accettabilità rispetto alla religione, che vede al primo posto le obbligazioni di fede (i cd. «pilastri dell’islam»), all’ultimo gli atti vietati. In questo senso, la s. comprende anche il diritto penale, nel quale le categorie criminali vedono al primo posto i delitti contro Dio, ossia l’apostasia e la blasfemia, quindi l’adulterio, il consumo di bevande alcoliche, il furto e la rapina. Per questi la s. stabilisce pene severe (hudud) fino alla morte, mentre l’omicidio – condannato nel caso la vittima sia musulmana – prevede un complesso sistema di compensi (la cd. legge del taglione) da corrispondere alla famiglia della vittima. La s. e il suo diritto sono stati la legge degli Stati islamici fin dai primi califfati arabi; abolita quasi ovunque negli Stati moderni, sotto l’influsso della modernizzazione e del nazionalismo laico, la s. è stata sostituita da sistemi giuridici che ricalcano quelli europei, con l’eccezione notevole, nel mondo sunnita, dello Stato saudita. Dagli anni Settanta del sec. 20° tuttavia, è in corso un processo di reintegrazione, parziale o totale, della s. come fonte del diritto, sull’onda dell’islamismo radicale. Tale processo ha condotto, per es., l’Egitto, nel 1980, a dichiarare la s. la principale fonte della legislazione, e l’Iraq, nel 2005, a porre la religione islamica fra le fonti legali fondamentali.
Fonte: Treccani
La conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani, che sono riusciti a impossessarsi anche della capitale, Kabul, nella giornata di domenica 15 agosto, sfocerà nella rinascita dell’emirato islamico afghano, forma di Governo già sperimentata fra il 1996 e il 2001 nel Paese mediorientale, sino all’intervento degli Stati Uniti d’America per contrastare Al Qaeda, come rammentato dal presidente Joe Biden nella conferenza stampa di ieri sera. In quel delicato periodo storico, proprio i talebani imposero un’interpretazione della shari’a davvero rigida, che prevedeva la condanna a morte per i comunisti e la mutilazioni di mani e piedi per ladri e criminali.
Dal 1996 fino al 2001 i diritti delle donne in Afghanistan scomparvero del tutto. In particolare, non potevano uscire di casa senza Burqa e senza il marito o un parente di sangue, non potevano mettersi alla guida di bici, motocicli e automobili e viaggiare in mezzi pubblici promiscui o fuori dagli spazi loro riservati. Non era consentito loro nemmeno apparire in fotografie, riviste, tv e giornali, né potevano lavorare fuori casa ed entrare in contatto con uomini diversi dal marito o dai parenti, compresi i medici. Banditi, poi, cosmetici, gioielli, scarpe e abiti immodesti, con chiusura di parrucchieri e saloni di bellezza.