É Ramadhan. Ieri era il primo giorno di Ramadhan. Primo per me in un Paese musulmano. Ero seduta in terrazza a ripetere arabo e ho sentito il Muezin pronunciare il richiamo alla preghiera. Erano le 19.40 circa. Era Iftar, la rottura del digiuno. Dopo poco sono uscita di casa per comprare la cena.
Ero in Avenue Bourghiba, l’avenue più grande e importante di Tunisi. Era deserta, completamente deserta, né voci, né sguardi, né passi, né colori, né bambini, né rumori.
É stato bellissimo. Si respirava tranquillità, pace, serenità e un po’ di quel sacro che porta con sé il mese del Ramadhan.
Ho immaginato, ho immaginato tutti i tunisini musulmani.
Tutti in quell’attimo stavano rompendo il loro digiuno che durava da poco prima dell’alba e stavano cenando. Tutti, tutti insieme, tutti nello stesso momento. Avranno bevuto il primo sorso d’acqua della giornata, mangiato la shurba, una minestra per dissetarsi e chissà, il cous cous.
E poi sarebbero usciti. Tutti, o la maggior parte sarebbe uscita.
Sarebbero andati al maqha, il bar, o nei luoghi di ritrovo dei giovani, chiusi tutta la giornata, avrebbero riaperto le porte alle 21. E la vita che di giorno non c’é, avrebbe ripreso la sera.
Un gran numero di essi sarebbe andato in moschea, a pregare sino a tardi. Ad ascoltare l’Imam, a recitare il Corano, a concentrarsi su Dio, su sé stessi. Me l’immagino come un momento mistico, forte, dopo quasi 17 ore di digiuno ringraziano Allah e rimangono in contemplazione.
Si percepisce, o almeno io l’ho avvertito ieri. Ho avvertito il cambiamento che i miei amici musulmani mi hanno detto porta con sé il mese di Ramadhan.
ان شاء الله رمضان كريم